Cultura e tradizioni
Piediluco, caratteri socioantropologici.
Le genti di Piediluco, proprio in virtù della simbiosi con il lago, hanno nei secoli sviluppato una specificità socioantropologica rispetto alle popolazioni contadine degli intorni umbri e reatini; infatti il Piedilucano è stato prevalentemente un borghigiano dedito alla pesca; ciò ha fatto sì che egli respirasse, per così dire, in un’atmosfera di vincoli di subordinazione padronale molto più rarefatti rispetto al mondo rurale circostante.
Non che i signori mancassero di pretendere d’estender la prepotenza loro, oltre che sulle terre con cui campavano i villani, pure sulle acque lacustri, ove campavano i pescatori, arrogandosi diritti esclusivi per le varie attività pescatorie; sennonché l’esercizio di tale prepotere dovette negli anni risultar più labile sulle acque che sulle terre: certo non è molto pratico coltivare un campo di frumento di frodo, mentre un luccio di dieci chili di ottima carne lo si può acchiappare con un’imboscata notturna a mezzo lago, e senza manco far tanto rumore…
Insomma, il pescatore Piedilucano viveva in un’atmosfera, se non proprio più libera, comunque decisamente più libertaria, rispetto ai villani delle contrade d’attorno. Sicché, quando vi fu l’esplosione della rivoluzione industriale ternana, il ‘boom’ di Terni, Manchester Italiana, con l’eccezionale sviluppo di acciaierie, opifici, stabilimenti e centrali idroelettriche, il Piedilucano da pescatore libertario si evolve subito in operaio libertario… in altre parole, un proletario con un’orgogliosa coscienza di classe, lucidamente ribelle.
Il Piedilucano non ha affatto la soggezione rispetto al ‘sor parùn’, tipica del contadino; ha il retaggio invece di un inattaccabile senso di dignità: sicché, laddove non abbia la forza di reagire fisicamente al sopruso padronale, reagisce magari con l’ironia, alle volte beffarda, alle volte invece blasé, quasi a ribadire di appartenere a un’aristocrazia di spiriti decisamente superiore rispetto a quella dei denari…
Ovvia conseguenza di tale animo è l’essere in prima fila nelle avanguardie operaie della Terni novecentesca, dalle prime lotte sindacali nell’Italia Umbertina, al movimento dei consigli durante il biennio rosso; naturalmente, dopo la cupa eclissi del Ventennio, vivida fu l’alba della lotta Partigiana, con l’epopea della Brigata Garibaldi; e poi le tante e tante lotte del dopoguerra repubblicano, come quella notte degli anni sessanta, quando qualcuno riuscì a sapere che c’era in opera un tentativo di colpo di Stato, sicché tutti i Piedilucani si ritrovarono in piazza con i fucili del tempo di guerra in braccio ad aspettare il peggio… peggio, che, grazie a Dio, non venne, perché qualcuno dei militari golpisti fece marcia indré, e il tanto studiato colpo manco partì…
Però i Piedilucani stettero lo stesso in guardia tutta notte, e poi al mattino, tornarono a riporre i fucili del tempo di guerra nei nascondigli segreti.
Un siffatto carattere indomabilmente libertario trova fondamento e ‘fondazione’ nel seguente mito, (riportato da Armeno Armeni nella sua opera ‘Piediluco, gemma dell’Umbria’) la cui morale altro non è che, piuttosto morire, liberi, che vivere schiavi…
Il mito della fanciulla rapita
Nella torre della rocca di Piediluco giaceva prigioniera una fanciulla bellissima, segregata per l’invidia dell’amante del re, gelosa della sua bellezza.
Langoberto, cavaliere di Torre Orsina, lo venne a sapere, sicché s’invogliò a farla rapire, ché era un vero peccato sciupar una grazia simile tra le grinfie di quattro aguzzini… Sicché incaricò del ratto/evasione un borghigiano di Piediluco, tal “Brontolo”. Costui riuscì a involar la fanciulla dal castello, sennonché… sennonché si rese conto che la propria ardita impresa altro non sarebbe valso che a far cader la meschina dalla padella nella brace.
E allora che fare? Andare innanzi no, indietro giammai: s’era in un vicolo cieco, cogli armigeri della rocca alle calcagna e i bravacci di Langoberto che l’aspettavano al passo per prendere in consegna la pulzella… e come si risolse Brontolo… visto che lui, uomo, nulla di buono poteva fare, ma solo male, affidò la fanciulla alla sorte… sicché la mise su una barca, e la lasciò andar via alla corrente del fiume Velino, che impetuoso scorreva verso la cascata delle Marmore: tanto impetuoso che la barca immediatamente sparì alla vista degli sgherri della rocca e del cavaliere, i quali braccavan la fanciulla sull’una e sull’altra sponda del fiume.
E così, rapida la corrente libera la fanciulla dai suoi aguzzini, rapida la corrente libera la fanciulla da una vita di schiava, rapida la corrente si getta nella cascata… A cura di P. De Cupis